Studio delle problematiche relative alle eventuali posizioni di garanzia e ai profili di responsabilità colposa, con riferimento alle attività del Centro Allerta Tsunami dell’INGV

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Cecilia Valbonesi

Abstract

Lo studio si propone di definire l’ambito delle responsabilità penali dei diversi soggetti coinvolti, a diverso titolo, nel Centro Allerta Tsunami (CAT) dell’INGV. L’analisi è stata condotta alla luce delle diverse impostazioni dottrinali e soprattutto dell’ampio panorama giurisprudenziale che si è sviluppato in ordine alla responsabilità colposa. In particolare, dopo un’introduzione di carattere sistematico, volta a dare conto del complesso panorama normativo e regolamentare nel quale è inserito il CAT dell’INGV (cap. 1), si è voluto sottolineare come un profilo di centrale criticità, nell’opera di ricostruzione delle competenze e delle responsabilità, prenda le mosse proprio dalla continua evoluzione scientifica che la materia in esame subisce (cap. 2). Tale dinamicità, associata ai naturali contrasti scientifici, impedisce di determinare in modo definitivo e inconfutabile il complesso di regole cautelari la cui osservanza solleva l’operatore (il turnista come il funzionario) dalla responsabilità per colpa in caso di errore che determini un evento infausto. L’ampia articolazione dei diversi compiti del Centro Allerta Tsunami radica, in capo ai singoli soggetti titolari, un precipuo ambito di competenza all’interno del quale deve essere gestita la relativa porzione di rischio tsunamigenico. Si tratta, peraltro, di un rischio peculiare, giacché il verificarsi dell’evento tsunamigenico è suscettibile di predittività da parte degli operatori I quali possono innescare nella popolazione quei comportamenti cautelari idonei a ridurre o neutralizzare ogni potenziale nocumento (cap. 3). La complessità del rischio tsunamigenico impone, dunque, che lo stesso sia gestito da una pluralità di soggetti in organico al CAT o agli altri soggetti appartenenti al SiAM (ISPRA e DPC). La circostanza non è indifferente poiché, in caso di evento nefasto, debbono osservarsi criteri di ascrizione della responsabilità che soggiacciono a regole peculiari (cap. 4). Si tratta, infatti, della disciplina della cooperazione colposa di cui all’art. 113 c.p. alla luce della quale più soggetti sono chiamati a rispondere del medesimo evento se questo è frutto di una loro azione o omissione colposa (ovvero priva della volontà di cagionare un tale evento). Occorre, peraltro, evidenziare a questo proposito un contrasto fra dottrina e giurisprudenza. Se la prima ritiene che per aversi cooperazione colposa il soggetto debba avere coscienza e volontà di concorrere con altri nella condotta violatrice di regole di comportamento, la giurisprudenza non ha ritenuto “necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta né la conoscenza dell’identità delle persone che vi cooperano”. In un evidente ampliamento della sfera sanzionatoria si prevede, infatti, che sia “sufficiente la consapevolezza del coinvolgimento di altri in una determinata attività”. Rimandando allo studio per l’approfondimento dei termini esatti nei quali si inquadra la cooperazione colposa, si può affermare che la partecipazione causalmente rilevante di più soggetti su un medesimo fattore di rischio può, in presenza di certi presupposti, vederli responsabili, allo stesso titolo, per l’evento infausto che ne deriva. Questa dimensione plurisoggettiva del reato, così frequente nel settore della responsabilità medica e soprattutto della responsabilità d’equipe (v. cap. 13) costituisce una delle forme di manifestazione del reato, di cui certamente può rendersi responsabile, fuori da una dimensione di cooperazione, anche il singolo operatore. Lo studio (cap. 5) affronta infatti I presupposti e I profili applicativi delle fattispecie incriminatrici suscettibili di applicazione nel contesto della gestione del rischio tsunamigenico. Il singolo operatore o l’insieme di soggetti che hanno agito cooperando fra di loro possono essere chiamati a rispondere sia di condotte che mettono in pericolo un bene giuridico protetto (la vita, l’incolumità, il patrimonio) oppure che lo danneggiano. Nel primo caso, come vedremo, l’ordinamento predispone la risposta sanzionatoria attraverso fattispecie di pericolo, nel secondo attraverso fattispecie di danno. Peraltro, il rimprovero può essere mosso al soggetto agente sia per aver cagionato un evento attraverso una condotta attiva, sia per non aver scongiurato la possibilità che esso si verificasse, tenendo un contegno omissivo (cap. 6 e 10). Nel contesto oggetto del nostro studio non sempre è facile individuare il confine fra condotta attiva e condotta omissiva (cap. 6-8 e 11). Lo studio cerca di approfondire tali differenze attraverso esempi che potrebbero essere compendiati in questa breve considerazione: si avrà responsabilità attiva se, ad esempio, si erra nel leggere un dato e si comunica un livello di rischio errato dal quale poi derivano conseguenze a catena per la popolazione. Si avrà responsabilità omissiva se, nonostante si sia in possesso di un dato tempestivo e corretto, si ometta per l’appunto di comunicarlo nei tempi previsti dalla Direttiva.

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